Ambientalisti NoTav: dagli sproloqui di Mercalli ai conti che non tornano di Donati e Vittadini

Di BEPPE GILLIO – Autore del volume “Le ragioni di un ambientalista SI TAV” 

Da qualche tempo, sui social, si assiste alla riproposta di un’intervista rilasciata un anno fa al “Fatto Quotidiano” da Luca Mercalli.[1] Il tema è il nuovo collegamento Torino-Lione e la sua tesi è che “sotto il profilo dell’impronta ambientale la realizzazione dell’opera sia fortemente negativa”. Ciò a diversità di quanto sostenuto dai promotori che proprio in una ferrovia più efficiente vedono l’alternativa al primato di un autotrasporto sommamente inquinante ed energivoro.

Credo valga la pena di replicare alle argomentazioni addotte, o perlomeno ad alcune di esse, perché nonostante la loro infondatezza sembrano ancora godere di un qualche credito.

Beppe Gillio – Autore di “Le ragioni di un ambientalista Si TAV”

La replica di Beppe Gillio alle affermazioni di Mercalli

“…peccato però che per fare questo cambio devi prima scavare un immenso buco nella montagna. La galleria più lunga del mondo

1. La galleria “più lunga del mondo” ha in realtà la stessa lunghezza di quella del Gottardo (57 km) e, comprendendo la circonvallazione di Innsbruck (56+8 km), è di 7 km più corta di quella del Brennero.

“...a opera fatta, continuerà a funzionare giorno e notte l’impianto di raffreddamento, perché il tunnel nel cuore della montagna avrà un clima ostile alla vita e la temperatura sarà attorno ai 50 gradi

2. Come già oggi avviene per i tunnel del Gottardo e del Lötschberg e domani per quello del Brennero (che hanno gradiente termico analogo a quello del Moncenisio) l’impianto di ventilazione-raffreddamento è predisposto per situazioni eccezionali come l’estrazione massiva di fumi in caso di incendio oppure di rinfrescamento in caso di manutenzione straordinaria. Con l’ordinaria circolazione dei treni l’impianto non è attivo.

“….perché il bilancio del carbonio sia favorevole al clima, le linee ferroviarie ad alta velocità non possono contemplare l’uso estensivo di tunnel

3. Per intanto il nuovo collegamento Torino-Lione non è una linea ad AV, ma una linea adeguata alle specifiche tecniche e ai parametri di prestazione della rete centrale transeuropea.

Istituita nel 2013, la rete è articolata in 9 corridoi interoperabili e interconnessi.[2] Il corridoio di afferenza della Torino-Lione, il Mediterraneo, è lungo oltre 3000 km. Per cui i 60 km del tunnel del Moncenisio costituiscono l’1,8% di esso (o lo 0,4% dell’intera rete).

Sostenere che questa percentuale significhi un “uso intensivo di tunnel” è del tutto fuori luogo. Per contro, volendo usare le parole di motivazione del cofinanziamento UE, la tratta costituisce oggi semplicemente il principale “collo di bottiglia” del corridoio.

Non realizzarla significherebbe conservare nel cuore della rete un’unica tratta non adeguata alle nuove specifiche tecniche, incompatibili con le linee storiche di valico (pendenza, raggi di curvatura, sagoma, sicurezza, interoperabilità). Compromettendo gravemente la funzionalità di un sistema per il quale Stati nazionali e UE stanno investendo decine di miliardi.[3] 

Un sistema concepito per riequilibrare in modo più sostenibile un traffico merci che in Europa comporta emissioni di CO2 per oltre 200 milioni di tonnellate l’anno.[4]

TEN-T Core Network Corridors
Le rete Europea dei Corridoi TEN-T

“… l’ultimo rapporto dell’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni unite, dice chiaramente che le emissioni vanno ridotte subito

4. Vero, ma la strategia è complessa e prevede azioni a breve, medio, lungo termine. E le une non escludono, ma presuppongono le altre. Per le due ultime azioni l’UE ha fissato le scadenze 2030 e 2050. Tradotto in ambito trasportistico l’obiettivo UE è un trasferimento del 30% delle merci di lunga percorrenza dalla strada alla rotaia all’altezza del 2030 e del 50% al 2050. Per questa ragione il termine di realizzazione della tratta internazionale della Torino-Lione è il 2030; trattandosi di opera ritenuta indispensabile (anche da tecnici, operatori, gestori delle reti) per il perseguimento dell’obiettivo.[5]

“…possiamo usare i miliardi di euro destinati al Tav per iniziare subito azioni che riducano le emissioni. Azioni con effetti certi e immediati, come collocare più pannelli solari sui tetti degli italiani, cambiare gli infissi alle case colabrodo, aumentare la coibentazione, installare pompe di calore


5. Per prima cosa i finanziamenti per la realizzazione del cosiddetto TAV sono spalmati su un lungo periodo e pertanto non si tratterebbe di risorse immediatamente stornabili.

In secondo luogo più che parlare di disponibilità di nuove risorse occorrerebbe accelerare l’impiego di quelle già disponibili.

Mentre i 19 miliardi (in larga misura fondi europei) a disposizione dell’Italia per le azioni “con effetti certi e immediati” a marzo dello scorso risultavano utilizzati soltanto nella misura del 30%. Per cui ben poco cambierebbe aggiungendovi i circa 200 milioni stanziati annualmente per la “TAV”.[6]
Relativamente all’auspicato storno di risorse si ricorda che l’UE cofinanzia l’opera al 40% (che nel prossimo settennio finanziario, a seguito di modifiche già apportate al regolamento UE, potrebbe diventare il 50 o 55%). I fondi sono quelli stanziati nell’ambito del programma CEF per cui quanto oggi utilizzato per la Torino-Lione non può essere stornato in capitoli di spesa diversi da quello delle infrastrutture di trasporto. Non realizzando la Torino-Lione le risorse sarebbero pertanto destinate ad altre infrastrutture oggi considerate dall’UE meno prioritarie.

“…il Quaderno numero 8, uscito nel 2011 con il titolo Analisi costi-benefici, presenta alcune tabelle assai istruttive. Mostra che durante tutta la costruzione del tunnel le emissioni aumenteranno, a botte di circa 1 milione di tonnellate di CO2 l’anno, accumulando nel tempo oltre 12 milioni di tonnellate“.

6. Nuove stime di riferimento al bilancio del carbonio sono state prodotte nel 2019 tenendo conto delle ultime modifiche progettuali e introducendo elementi di valutazione più severi.[7] Da esse risulta che il periodo delle emissioni più significative è concentrato tra 2025 e 2028 con una media annuale di emissioni di CO2 di circa 1 milione di tonnellate.

Le emissioni cessano del tutto con la messa in esercizio dell’opera nel 2030 (sebbene nel titolo dell’intervista si dica molto fantasiosamente “più veleni fino al 2047”). Da quella data si avranno solo i benefici conseguenti al trasferimento modale, stimati in 1 mln/tonn/anno risparmiate che successivamente salirebbero a 3.

Occorrerebbe pertanto un arco temporale di 14/15 anni perché i costi energetici e ambientali sostenuti negli anni precedenti siano interamente ripagati. Un periodo che dunque non è molto diverso da quello di altre opere di significativo impatto eppure indispensabili per un futuro contenimento di emissioni, come nel caso delle metropolitane.

Altre soluzioni per il dimezzamento del traffico merci su strada (che senza nuove ed efficienti infrastrutture ferroviarie resta economicamente più vantaggioso) non si offrono.

E ciò a fronte di una realtà di enorme impatto considerato che i 3 milioni di TIR che nel 2018 hanno attraversato i confini italo-francesi valgono 45 miliardi di tonn/km anno ( = 3 mln di TIR X 1000 km medi di percorrenza X 15 tonn medie di carico ). Del resto è anche l’analisi costi benefici di Marco Ponti a prevedere che, senza la nuova infrastruttura, nel 2050 viaggerebbe su rotaia tra Francia e Italia soltanto l’8,5% delle merci (stima ottimistica) contro il 50% dell’Austria e il 75% della Svizzera.[8]

Determinando così abissali differenze di sostenibilità tra le mobilità nazionali.

Luca Mercalli all’imbocco del tunnel del Frejus a Bardonecchia

Come Mercalli, altre ambientaliste storiche, come Anna Donati e Maria Rosa Vittadini van fuori binario…

Tra le voci critiche sul nuovo collegamento Torino-Lione ricordo quelle di due ambientaliste storiche come Anna Donati e Maria Rosa Vittadini che un anno fa firmavano l’articolo Torino-Lione: buchi nei monti, buchi nei conti.

Articolo che ha goduto di minor notorietà del precedente, forse perché privo dei toni sensazionalistici e delle asserzioni dogmatiche in voga.

Maria Rosa Vittadini

L’approccio è serio, anche perché a differenza di altri oppositori le autrici sono entrate nel merito dei documenti ultimamente prodotti dall’Osservatorio: Verifica del modello di esercizio: Quaderno 10 (2017) e e Quaderno dell’Osservatorio n. 11 (2018) .

La prima obiezione di Donati e Vittadini non riguarda i contenuti dei documenti, ma la ravvisata assenza di riferimenti più solidi alla politica dei trasporti italiana. Politica ritenuta subordinata “ad interessi stradali e autostradali oggettivamente contrari” alla prospettiva del riequilibrio modale dei trasporti:  

Le argomentazioni di Donati e Vittadini, confutate puntualmente da Beppe Gillio

Tutti fattori che, allo stato delle cose, portano a considerare marginale la realizzazione dell’opera ai fini dell’obiettivo dichiarato e altissima la probabilità che l’ingente impegno di risorse e il danno ai territori interessati si risolva nell’ennesimo episodio di cattiva politica e dilapidazione di risorse pubbliche”.

1. Pare a chi scrive che queste proposizioni possano essere riferite al passato, non al presente. È vero che il disegno di una nuova politica non è ancora completamente definito essendo rimasti sulla carta, dopo la caduta del Governo Gentiloni, il Piano generale dei trasporti e della logistica e il complementare Documento pluriennale di pianificazione, ma è altrettanto vero che il ritardo d’adozione di questi strumenti non ha impedito che proseguissero azioni importanti già avviate e mirate al potenziamento della ferrovia.[9] 

Riduttivo e non corretto affermare che per il Contratto di programma 2017-2021 “la prospettiva decennale di investimenti ferroviari” è stata elaborata da RFI piuttosto che dal MIT: cosa che costituisce una sconcertante inversione dei ruoli”. Intanto perché il programma è stato preceduto da un inedito confronto tra ministero, rete ferroviaria, operatori di trasporto, terminalisti, tecnici (come peraltro unanimemente riconosciuto nel 2017 nei convegni nazionali di Mercintreno, Fercargo, Expo-Ferroviaria). E poi perché l’accordo di programma è in piena consonanza con obiettivi e tempistiche della politica comunitaria dei trasporti.

Ciò su cui tutti gli attori oggi convengono è che il forte primato dell’autotrasporto si deve al fatto che per 70 e più anni la stragrande maggioranza delle risorse è stata investita, in Italia come in Europa, nel potenziamento di infrastrutture autostradali che hanno reso le prestazioni e i costi dell’autotrasporto fortemente competitivi nei confronti della ferrovia. Le cui prestazioni sono invece rimaste poco diverse da quelle di un secolo fa. La strategia individuata a livello europeo per il rilancio del trasporto ferroviario è la realizzazione di una rete, interoperabile e interconnessa, utile al transito di treni lunghi fino a 750 metri e/o pesanti fino a 2000 tonnellate e di grande sagoma. E RFI è perfettamente al passo con questa politica perché già il 50% delle linee fondamentali italiane (ovvero quelle iscritte nella Ten-T) è stato adeguato alle nuove specifiche tecniche e i lavori potranno essere ultimati entro la scadenza del 2030.[10] Anno in cui tutta la rete centrale europea dovrà essere conformata a dette specifiche per raggiungere l’obiettivo del trasferimento del 30% delle merci di lunga percorrenza dalla strada alla rotaia.

Pare tuttavia che questo contesto italiano ed europeo sfugga del tutto a Donati e Vittadini. Diversamente non avrebbero scritto che “la realizzazione della Torino Lione ha senso solo in una prospettiva di potenziamento della rete ferroviaria destinata alle merci e indica una serie di interventi di potenziamento, adeguamento, raccordo con le altre linee in fase di realizzazione”, come se si trattasse di semplici possibilità e non di azioni in corso.

Il programma di adeguamento del modulo ferroviario di RFI

In questo quadro invece di tendere ai 20 milioni di tonn/anno, gli interventi sulla linea esistente, disomogenei tra la parte italiana e la parte francese, discontinui e incerti nel tempo e nei risultati, hanno prodotto il paradossale risultato di ridurre il traffico ai 3 milioni di tonn/anno prima ricordati”.

2. A questa affermazione è evidentemente sottesa l’errata convinzione che esistano misure sufficienti, sebbene non applicate, per rivitalizzare la linea storica. Una linea che peraltro, secondo RFI, con la nuova normativa di sicurezza ha oggi un potenziale massimo di transito di 6 milioni di tonnellate e non di 20.[11]

È poi vero che i transiti attuali coprono soltanto la metà di quel già modico potenziale e a spiegarne la ragione sono gli stessi operatori di trasporto. Come Hupac: “Noi vorremmo utilizzare le gallerie piemontesi a partire da quella del Frejus, ma le caratteristiche del tunnel non lo consentono: mancano 40 cm in altezza e la pendenza della ferrovia non permette di far viaggiare convogli sufficientemente lunghi da essere competitivi per il trasporto delle merci”.

O come Livio Ambrogio, il più importante operatore trasportistico su ferro del torinese e non solo:

Se negli Anni 80 non avessimo aperto uno scalo a Gallarate, sfruttando i collegamenti con la Svizzera, avremmo chiuso da un pezzo. A far passare le merci dal vecchio Frejus si lavora in perdita. Usare il traforo del Frejus costa tre volte i tunnel svizzeri, perché lì posso far passare 2 mila tonnellate di merce per volta, qui 700.

Del resto se nemmeno in pianura il trasporto ferroviario risulta competitivo senza i nuovi parametri di prestazione, come potrebbe esserlo in una tratta di valico dove le limitazioni sono tanto maggiori?

E le tratte dei valichi alpini, a diversità delle linee di pianura, non potranno mai essere adeguate alle specifiche tecniche e ai nuovi parametri di prestazione europei.

Tant’è che l’adeguamento è costato alla Svizzera la realizzazione di 129 km di tunnel di base (Lötschberg, Gottardo, Ceneri e Zimmerberg )  e all’Austria il progetto di altri 115 (Brennero, Semmering, Koralm).

I nuovi tunnel di base ferroviari alpini in costruzione o in esercizio

La Svizzera non ha aspettato la realizzazione di nuove infrastrutture per far politica di trasferimento del trasporto merci, ma al contrario ha messo in atto efficaci politiche di trasferimento che hanno giustificato nel tempo il potenziamento delle infrastrutture ferroviarie. Per la Torino Lione è una indicazione importante: non è l’infrastruttura che genera il trasferimento, ma sono le politiche per il trasferimento che rendono necessaria l’infrastruttura”.

3. Certamente, nel contesto attuale, l’infrastruttura può essere concepita soltanto come strumento di una organica politica dei trasporti e non come soluzione autonoma e autovalidante.

Tuttavia non può essere sminuito il suo ruolo. Si può forse pensare che 3 milioni di TIR varcherebbero l’arco alpino occidentale se non fossero state realizzate infrastrutture stradali come i tunnel del Bianco e del Frejus o le autostrade di Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta?

Sicuramente la Svizzera è stata ed è all’avanguardia nella politica del trasferimento modale, per ragioni di sensibilità e di tradizione e ancor più perché il paese accoglie un traffico di semplice transito, ma le politiche confederali non sono facilmente esportabili.

Nonostante linee storiche più vantaggiose di quella del Frejus, per massa trainabile e sagoma dei treni, l’importante trasferimento modale attuato in Svizzera ha richiesto infatti l’erogazione al trasporto combinato di incentivi poderosi (176 mln/CHF nel solo 2013; di poco inferiori gli stanziamenti negli altri anni). Includendo altri oneri d’esercizio, come i costosi servizi di spinta, si trattava dunque di una spesa ingente e prossima a quella che sosterrà annualmente l’Italia fino al 2030 per la realizzazione del nuovo tunnel del Moncenisio.

Ma dopo l’apertura del Gottardo gli incentivi sono stati ridotti e dopo quella del Ceneri ne è prevista l’abrogazione perché le nuove infrastrutture non li rendono più necessari!

L’Italia, a diversità della Svizzera, è membro dell’UE e quindi non ha possibilità di sussidiare liberamente il trasporto ferroviario se non tramite autorizzazioni temporanee rilasciate dalla Commissione europea dopo un giudizio di compatibilità con la normativa sulla concorrenza.

Oggi Italia e Francia finanziano l’AFA l’Autostrada Ferroviaria Alpina -con circa 10 milioni l’anno per ottenere il trasferimento su ferro di carichi equivalenti a quelli di 30.000 mezzi pesanti.

Volendo raggiungere l’obiettivo UE di un modal shift del 30% (oggi corrispondente alla movimentazione di 900.000 VP) occorrerebbe moltiplicare per 30 l’attuale importo. Soluzione non soltanto onerosissima ma del tutto ipotetica perché non otterrebbe l’autorizzazione UE e soprattutto perché comporterebbe un numero di treni fortemente esorbitante le potenzialità della linea. Inoltre si ricorda che le autostrade ferroviarie offrono benefici all’ambiente alpino, ma non risolvono il problema dei transiti stradali di lunga percorrenza. Infatti anche in Svizzera e in Austria sono considerate provvedimenti tampone in attesa del pieno esercizio dei sistemi dei tunnel di base. In altre parole hanno poco senso sussidi e dilatazione dei tempi di percorrenza se una volta percorsa la breve tratta servita dalle autostrade ferroviarie i TIR tornano su strada. La soluzione condivisa dall’UE è invece quella di lunghe percorrenze su rotaia, senza rotture di carico. E le lunghe percorrenze interessano la maggioranza dei transiti considerando che quella media di un TIR è di circa 1000 km.[12]

Se la soluzione degli incentivi ha esiti limitati, quella di una tassa sui mezzi pesanti come la TTPCP svizzera non produrrebbe significativi effetti di deterrenza se si considera che pur senza quell’aggravio già oggi, su distanze pari a quelle svizzere, l’autotrasporto tra Francia e Italia comporta costi maggiori a causa degli elevati pedaggi di Frejus e Bianco (caso diverso quello di Ventimiglia dove è invece auspicabile l’applicazione dell’eurovignette).[13]

Se i benefici di una tassazione restano dubbi sono per contro evidenti le conseguenze negative, come gli effetti di deterrenza per le esportazioni e i maggiori costi spalmati sui consumatori per le importazioni.

Ed è paradossale che siano le stesse forze politiche, imprese ed associazioni di categoria che vanno in piazza a Torino per il Sì-TAV, che si oppongano con decisione ad ogni politica di disincentivo del trasporto stradale, arrivando a contestare le scelte di Austria e Svizzera sui valichi“.

4. Vero, ma si tratta di una contraddizione quasi insolubile. Da un lato la comprensibile autodifesa di un paese come l’Austria che serve suo malgrado da corridoio di traffico e che si difende con tutte le misure possibili come i robusti incentivi al combinato (200 milioni nel prossimo biennio) e le restrizioni di traffico. Dall’altro le innegabili difficoltà che derivano all’import-export italiano e tedesco.

Ancora diversa la situazione dell’interscambio che interessa l’arco alpino occidentale. Benché in crescita la quota del traffico di attraversamento resta fortemente minoritaria rispetto a quella del traffico di scambio; pertanto limitazioni di traffico, senza valide alternative ferroviarie, avrebbero ripercussioni pesanti a livello economico ed occupazionale. Così il problema potrà essere definitivamente risolto, sui confini francesi come austriaci, soltanto quando con l’apertura dei nuovi tunnel l’alternativa ferroviaria sarà efficiente e non comporterà costi superiori a quelli della strada.

Colpisce la mancanza di qualunque cenno al problema degli attraversamenti dei centri, soprattutto nel tratto tra Bussoleno e Avigliana, dove gli impatti della cantierizzazione, i livelli di rumore a regime e i rischi connessi al trasporto di merci pericolose non miglioreranno certo la convivenza con gli abitanti.

Una bella differenza con la situazione italiana, dove le nuove linee ad Alta velocità, nonostante siano state ribattezzate linee ad Alta Capacità, non portano treni merci né di giorno né di notte perché, secondo RFI, danneggerebbero la geometria dei binari e ostacolerebbero la manutenzione notturna.

5. Per la tratta Bussoleno-Avigliana è previsto un semplice potenziamento, tramite attrezzaggio tecnologico, ma forse le autrici intendevano riferirsi a quella tra Avigliana e Orbassano, oggi allo stato di progetto.

Che, rispetto alla “convivenza con gli abitanti”, non comporta problemi diversi da quelli posti dalla realizzazione di migliaia di km di rete ferroviaria. Ed è cosa ben singolare che si riconosca l’insufficienza di un nodo per poi escluderne soluzioni migliorative.

Trovo inoltre incongruo il riferimento alle linee dell’AV italiana. Intanto perché, come da recente accordo tra RFI e ISC, anch’esse saranno utilizzate per il transito di merci (sia pure limitatamente all’orario notturno essendo in quello diurno già saturate dal trasporto passeggeri). Si può essere d’accordo sul fatto che le limitate quantità di merci ammesse a circolare sulle linee AV non giustifichino la dizione AC. Ma la singolarità dell’accoppiata si deve purtroppo all’iniziativa di un ministro verde, Edo Ronchi, che non credendo nelle possibilità di successo del trasporto passeggeri promosse la riconversione. Ingiungendo costi che non saranno mai ripagati.[14]

“Ed è evidente che i Paesi che dovrebbero alimentare il flusso di merci ferroviarie sulla Torino-Lione – ovvero Francia, Spagna e Portogallo – sono anche quelli nei quali la ferrovia svolge un ruolo minore: 11% in Francia, 5,3% in Spagna, 14,5% in Portogallo, come del resto in Italia. Contro il 31,5% dell’Austria e il 19% della Germania”.

6. Questa è effettivamente la situazione odierna. Ma deve essere accettata come un grigio destino storico o deve semmai costituire la ragione di interventi più rilevanti che altrove?

L’UE ha già manifestato la propria posizione perché dei 9 corridoi in cui si articola la rete centrale è il Mediterraneo a contare il maggior numero di progetti infrastrutturali cofinanziati (39 da Algeciras al confine ucraino). Anche per sanare problemi antichi, considerato che nella parte meridionale del corridoio sono ancora in corso gli adeguamenti allo scartamento europeo (contemporaneamente all’adeguamento alle nuove specifiche).

Infine risulta incomprensibile il titolo di uno degli ultimi paragrafi: “Pensare per reti, non per corridoi”.

Infatti i Corridoi Ten-T sono semplici articolazioni di una rete e interconnessi per servire le molteplici rotte di traffico. Così, a seconda della destinazione, un treno proveniente da Barcellona può lasciare il corridoio Mediterraneo imboccando il corridoio Nord-Mediterraneo a nord di Lione o il Reno-Alpi a Novara o lo Scandivano-Mediterraneo a Verona o il Baltico-Adriatico a Udine o, ancora, proseguire oltre Trieste. Il tutto in una dimensione che prende nome di “spazio unico europeo dei trasporti”.[15]

Concetto enunciato dal Libro bianco sui trasporti 2011 della Commissione europea, sviluppato poi nella teoria e nella pratica da importanti azioni… e tuttavia ignorato dall’articolo di Donati e Vittadini.


[1]  G. Barbacetto, Tav, costruirlo inquinerà più dei camion. Il paradosso del beneficio ecologico: più veleni fino al 2047, “Il Fatto Quotidiano”, 13 marzo 2019

[2] I regolamenti UE istitutivi sono il 1315/2013 (revisione Ten-T e rete centrale) e il 1316/2013 (meccanismo di finanziamento CEF)

[3] Cfr. Europea Commission, Innovation and Networks. Inea

[4] Cfr. European Commission, Statistical Pocketbook 2018. Eu transport in figures

[5] Cfr. Climate Action, Quadro 2030 per il clima e l’energia e Mediterranean Rail Freight Corridor, Documents

[6] Cfr. F. Foglia, Fondi europei, nella UE ancora 63 miliardi da spendere per clima e ambiente, “Il Sole24Ore”, 14 marzo 2019

[7] Lo studio è richiamato dal Quaderno 15 dell’Osservatorio asse ferroviario Torino-Lione, maggio 2019; in particolare, sul bilancio cumulativo del carbonio, cfr. pp. 102-107

[8] Analisi costi-benefici del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, 11 febbraio 2019, p. 26.

[9] Tra le misure incentivanti il trasporto merci non si dimenticheranno Ferrobonus e sconto pedaggio.

[10] Cfr. slide di RFI in Mercintreno, pp. 12-14. Si aggiungerà che nel contempo sono stati progettati adeguamenti di terminali e attrezzaggio di interporti per il servizio di “ultimo miglio”; cfr. RFI, Piano commerciale 2019, p. 710.

[11] Cfr. Osservatorio Torino-Lione, Quaderno 10, p. 327

[12] Cfr. Banca d’Italia. Eurosistema, Indagine sui costi del trasporto internazionale delle merci in Italia, 2014, p. 42

[13] Cfr. Confederazione Svizzera. Ufficio Federale dello Sviluppo Territoriale, Equa ed efficace. La tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (TTPCP) in Svizzera, 2015, p. 7

[14] Cfr. P.G. Gillio, Le ragioni di un ambientalista Sì Tav, 2016, pp. 67-70

[15] Cfr. Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti  

Un pensiero riguardo “Ambientalisti NoTav: dagli sproloqui di Mercalli ai conti che non tornano di Donati e Vittadini

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