Andare a Parigi senza scoprire la Tour Eiffel
Il lungo e scombinato viaggio di Wu Ming 1
“Un oggetto narrativo non identificato, che tiene assieme complessità e radicalità, inchiesta e narrazione, reportage e analisi.”. Così Giuliano Santoro definisce “Un viaggio che non promettiamo breve”, il libro che Wu Ming 1 ha dedicato a venticinque anni di lotte No Tav. La vicenda del Tav in Val Susa è raccontata per 650 pagine, ispirate da un immaginario che qualcuno vede bellico e qualcuno vede come un viaggio avventuroso. La lettura del libro lascia qualche tentazione, su tutte quella di controscrivere una disamina puntuale e pignola delle molte imprecisioni, distorsioni e omissioni che si trovano nel testo, ma sono la mole stessa e l’ambizione del libro a suggerire di andare a cercare le molte macro omissioni che pure 650 pagine si sono lasciate dietro. Perché il libro di Wu Ming è un viaggio e da sempre le memorie di viaggio trattano di quello che si è visto, di quello che si è ritenuto importante, ma si rimane sconcertati se da un diario di viaggio ampio e con pretese di esaustività mancano alcuni degli aspetti più rilevanti dei luoghi visitati. E gli oggetti sfuggiti allo sguardo di Wu Ming sono tanti e pesanti, imponenti come la mole del monte Musinè per chi arriva in Val Susa o come l’opprimente sbrego della cava di Caprie che incombe sul viaggiatore appena oltre l’imbocco della valle e che sembra non offendere lo sguardo di alcuno dei difensori della natura e del paesaggio tra i No Tav, per cui questo breve scritto proverà a elencare qualcosa di quello che le 650 pagine del libro ha trascurato, qualcosa di quello che in questa guida di Parigi senza Tour Eiffel o di Roma senza Colosseo non si trova.
Il nemico
Manca l’analisi del nemico, del cattivo, dei sostenitori della TAV. Wu Ming ricorre all’espediente di evocare lo scrittore Howard Phillips Lovercraft e di delegare alla sua ispirazione onirica e fantastica il compito di alludere all’Entità, cioè al mefitico e polimorfo mostro che incarna la volontà di costruire la Torino-Lyon. Il che è epico, il che è avventuroso, il che crea una efficace sensazione di odiosa oppressione, ma appunto è un espediente per evitare di fare altro. E quello che Wu Ming non fa è cercare di capire per quali motivi due paesi sovrani, cioè Italia e Francia, la Comunità Europea, i loro governi e i loro parlamenti degli ultimi 20 anni, i funzionari tecnici di questi governi e della Comunità, i professori e i ricercatori di atenei italiani, francesi, svizzeri sostengono la necessità di costruire la Torino-Lyon.
E questo è strano, molto strano. I grandi narratori non fanno nulla per nascondere la loro soddisfazione e il loro divertimento creativo nel raccontare i felloni, da Riccardo III a Milady, dai nazisti dell’Illinois ai serial killer, eppure Wu Ming ha un suo ipotetico fellone dalle molte dimensioni, con la sua estensione in politica, in tecnica, in economia, in impatto sull’ambiente e rinuncia a indagarlo, contentandosi di nasconderlo e di cristallizzarlo dietro la maschera della marcia entità in stile Lovercraft.
Così, nonostante le 650 pagine del libro, rimane nascosto che i sostenitori della Tav non sono guidati da diaboliche ispirazioni ma dal principio di muovere con efficienza e sostenibilità le merci in Europa e in particolare tra l’Italia e la Francia. La merce, si sa, letterariamente gode di scarso se non nessun fascino, è poco adatta a essere portata all’attenzione di un oggetto narrativo identificato o non identificato che sia. Eppure Wu Ming ha scritto libri su Venezia e Costantinopoli e quindi dovrebbe sapere che la ragione di essere di quelle due città era di muovere merci, così come un l’altro esegeta del libro Tomaso Montanari potrebbe ricordare che senza merci non ci sarebbero state Atene, Venezia, Firenze, Genova, le Fiandre con tutta la loro arte costruita principalmente sulle risorse derivanti dal muovere le impoetiche merci. Ma è troppo prosaico e troppo poco epico indagare questo aspetto, è plasticamente più semplice celebrare una deformata guerra contro la bestia immonda e grottesca di Lovercraft.
La Maurienne
Manca l’equivalente francese della Val Susa, cioè la valle francese della Maurienne, anzi la parola Maurienne quasi non compare nel libro. Questa vallata e i suoi abitanti sono passati attraverso vicende se non identiche perlomeno molto simili a quelle della Val Susa e dei suoi abitanti, dalla costruzione della linea storica, all’industrializzazione di fine 800, alle lotte operaie, all’orgoglio e all’identità dei ferrovieri, alla partecipazione alla Resistenza e alle rappresaglie naziste, alla costruzione dell’autostrada e del traforo autostradale, alla deindustrializzazione più recente. Inoltre se guardiamo al progetto della TAV, scopriamo che quasi l’80% dei lavori riguarda la Maurienne, i cui abitanti avrebbero quindi ragioni ben più forti di opposizione. Eppure tutti i comuni della Maurienne sono compattamente a favore della TAV e l’unica polemica è la querelle del piccolo comune di Villarodin-Bourget sulla scelta del sito per una delle discariche dello smarino scavato per il tunnel. Ma Wu Ming non parla di Maurienne, perché parlandone verrebbe meno la sostanza di quella trama sottesa nel viaggio che non promettiamo breve, cioè quello della necessità, quello dell’ineluttabilità per cui l’opposizione alla Torino-Lyon è la conseguenza necessaria dell’esperienza storica di queste vallate alpine. E visto che l’impatto dell’opera pesa sul territorio francese per il 70-80% del totale, si può affermare che la Tav sia essenzialmente un problema della Maurienne e marginalmente un problema della Val Susa, affermazione questa un po’ paradossale, ma molto meno paradossale rispetto alla palese dimenticanza del versante francese nella relazione del viaggio che non promettiamo breve,
Il locale e il globale
Manca una indagine della natura, delle ragioni, del rapporto tra locale e globale che vada oltre dalla caricaturale contrapposizione locale-buono, globale-cattivo. Trattando di grandi opere il contrasto tra il locale e il globale non è necessario e di immediata conseguenza così come lascia intendere Wu Ming e come alcuni esegeti suggeriscono. Daniele Giglioli afferma che “ la democrazia, fin dalla sua fondazione presso i Greci, consiste proprio nel fatto che la gente piccola, la gente da cortile, pretende di mettere il naso nelle cose importanti”, Tomaso Montanari afferma che “L’inderogabilità dell’autodeterminazione delle comunità nel governo del proprio territorio: ecco il vero frutto politico di 25 anni di lotta in Val di Susa”, ma come già osservato basterebbe aggiungere alle 650 pagine un occhio appena curioso oltre il Moncenisio per scoprire che in Maurienne un’altra incarnazione del locale impersonata dalla gente piccola e dalle comunità che governano il versante francese della Tav vuole la TAV, nonostante lo sbilanciamento dell’impatto dei lavori.
Siete poi sicuri, Wu Ming, Giglioli, Montanari che la gente piccola che pretende di mettere il naso in cose importanti abbia sempre ragione? I cittadini di Gorino che fanno le barricate contro i migranti perché nell’idea che si sono fatti della loro comunità non c’è spazio per chi arrivi da oltre il Mediterraneo, gli abitanti di certi quartieri di Napoli, Bari, Palermo che fanno scudo ai latitanti quando la polizia va a cercarli tra di loro perché la loro comunità contempla i latitanti ma non le guardie, i costruttori abusivi che vogliono costruire dove piace a loro anche sulle coste, sulle spiagge e davanti ai templi di Agrigento e di Selinunte ignorando le per loro fumose, remote, astratte pianificazioni territoriali e le per loro opprimenti pretese di preservazione del patrimonio artistico e paesaggistico non sono forse gente piccola, la gente da cortile, che pretende di mettere il naso nelle cose importanti? Qualche giorno fa, poi, ascoltavo su Radio 3 Mario Tozzi affermare che la nuova legge in discussione sui parchi nazionali è da osteggiare, perché concede troppo spazio alle amministrazioni locali nella gestione dei parchi e i sindaci di fatto non vogliono i parchi naturali a casa loro o almeno vogliono limitarne al massimo i vincoli. Ed ecco quindi che il locale diventa negativo in confronto alla superiore saggezza dello statale e del globale e tocca così al localista nimbismo incarnare il ruolo del protagonista miope e stolto. E quando il No Tav Luca Giunti si fa alfiere della salvaguardia dei branchi di lupi sulle Alpi, sembra dimenticare che gli alfieri delle istanze del locale, cioè i pastori delle Alpi le cui greggi sono minacciate, non vogliono proprio saperne dei lupi a lui cari. Insomma no alla Tav in Val Susa, perché questo vuole il locale contro le pretese del globale, ma è bene non dimenticare che altri locali rigettano le pretese del globale, cioè l’accoglienza dei profughi a Gorino, la presenza degli sbirri nei quartieri mafiosi, i vincoli paesaggistici sui terreni tutelati, i parchi nazionali da salvaguardare, i lupi che scorrazzano sulle montagne e si avvicinano ai pascoli.
Questa scelta aprioristica per le ragioni del locale lascia poi il dubbio che essa sia ispirata dal timore ad affrontare la complessità del globale. Il globale è senza dubbio troppo complicato, rinunciamo a capirlo, ritagliamoci un locale tutto nostro, un villaggio di Asterix, sposiamone incondizionatamente i punti di vista e lì piantiamo le tende sperando di essere gioiosamente al riparo dal mondo estraneo e complicato.
La Francia
Manca la Francia, mancano la società e la politica francesi, al netto del paio di pagine 266 e 267, e questo è infinitamente poco per un’opera italo-francese con buona parte dei cantieri oltralpe. Se Wu Ming nutre qualche diffidenza nei confronti del M5S, alleato in Italia nella lotta No TAV, omette però di ricordare che il suo alleato politico più forte in Francia è il Front National della famiglia Le Pen, così come trascura il fatto che da sempre in Francia la gauche, in tutte le sue espressioni, è a favore della Torino-Lyon. Considerando questi fattori, la narrazione della lotta No Tav come espressione delle forze e della politica progressiste vacilla inesorabilmente, ma per tenerla in piedi il resoconto del viaggio di Wu Ming sottace il ruolo che la Francia gioca nella vicenda Torino-Lyon.
Il contesto
Manca in buona sostanza il contesto ingegneristico e trasportistico in cui si inserisce l’opera. La Torino-Lione è presentata come il prodotto della marcia fantasia dell’Entità, ma lo sguardo del viaggiatore evita di allargarsi alle Alpi nella loro interezza dove tra Svizzera, Austria, Italia numerosi tunnel di base sono stati scavati o sono in corso di scavo in pacifica convivenza con le popolazioni della vallate interessate dalle opere e senza che qualcuno avverta la presenza di sinistre entità che ispirano e animano l’opera.
Il perverso meccanismo
La mancanza del libro più grave e direi meno perdonabile è il fatto che la continua celebrazione della lotta prescinde dall’indagine sul perverso e ripetuto meccanismo determinato dalle scelte del movimento No Tav. Si tratta di un meccanismo crudele, che macina le vite delle persone, e che si ripete ciclico con esiti ormai prevedibili e costantemente simili.
Ne tento un riepilogo.
- I leader del movimento No Tav definiscono un obiettivo di lotta che comporta lo scontro con le forze dell’ordine o comunque il ricorso a forme di lotta che violano la legalità. Gli esempi sono molti:
non si devono fare i sondaggi;
la futura zona di cantiere presso Chiomonte è occupata dalla repubblica della Maddalena e i No Tav dichiarano che essa non sarà sgombrata e che il cantiere non verrà realizzato;
il cantiere di Chiomonte deve essere cancellato;
il cantiere di Chiomonte non deve essere ampliato;
la talpa che dovrà scavare il tunnel geognostico non deve arrivare al cantiere;
si deve ostacolare se non impedire il funzionamento del cantiere di Chiomonte con continui attacchi.
- I militanti si impegnano nello scontro.
- La propaganda No Tav racconta con toni epici la lotta, ne esalta la forza, celebra la durezza dello scontro.
- La lotta si conclude con la sistematica sconfitta sul campo, per cui ad esempio:
i sondaggi sono eseguiti;
la Maddalena è sgombrata nel giugno 2011 e il cantiere inizia la sua attività;
il tentativo di sloggiare il cantiere del luglio 2011 è respinto;
nel febbraio del 2012 il cantiere è allargato così come da progetto;
nell’agosto 2013 la talpa arriva al cantiere di Chiomonte, è montata e inizia il suo lavoro;
gli attacchi notturni al cantiere non riescono a bloccare o anche solo ostacolare in modo significativo i lavori e il tunnel di Chiomonte è completato nei tempi previsti.
- La Procura della Repubblica si interessa ai fatti e indaga / incrimina / arresta i militanti accusati di aver violato la legge.
- Il procedimento giudiziario si svolge nelle sue varie fasi. La concessione di arresti domiciliari o l’alleggerimento delle condizioni detentive sono accolte come vittorie degli accusati, le richieste di condanna sono accolte come segno di preconcetta repressione, le condanne che accolgono le richieste dell’accusa sono di nuovo repressione, mentre le condanne che rigettano in parte le richieste dell’accusa e le assoluzioni sono celebrate come vittorie.
È interessante osservare che le gesta di ribellione che furono magnificate, esaltate, celebrate per la loro forza e ampiezza eversiva durante e subito dopo lo scontro, durante la fase successiva, quella delle indagini e dei processi, sono sminuite e ricondotte a trascurabili fatterelli del tutto privi di rilevanza penale. I due registri espressivi sono del tutto diversi ed è sconcertante vedere le stesse persone promuovere versioni così diverse sugli stessi fatti in momenti diversi. Il libro di Wu Ming, in questo riecheggiando i No Tav, sposa in pieno questo opportunistico altalenare di punti di vista.
- E si torna quindi all’inizio, verso la prossima iniziativa di lotta, verso il prossimo scontro, verso la prossima sconfitta sul campo, verso i prossimi processi.
E a pagare rimangono quelli che sono colpiti o feriti negli scontri e quelli che scontano pene di vario tipo, vittime di questo perverso e sempre più autoreferenziale meccanismo, fortemente voluto e cercato dai No Tav, di cui però assegnano la responsabilità a altri. Perché le regole purtroppo sono chiare, se si va allo scontro contro lo Stato, non solo contro quello stato non molto stimato da Wu Ming che è l’Italia, non solo contro quello strano superstato che è la Comunità Europea, non solo contro quel sinistro stato ideato da Wu Ming e dominato dall’entità di Lovercraft, allora tocca subire le dure conseguenze, quale che sia lo Stato, quale che sia l’ideologia di cui lo Stato è incarnazione. Ma la narrazione di Wu Ming sembra più ispirata dall’ebbrezza dello descrizione dello scontro che dalla valutazione della convenienza e delle conseguenze dello scontro stesso.
E questo meccanismo, questo persistente e testardo tornado che ruota se stesso risucchiando tante, troppe vite, descrive e caratterizza le lotte No Tav molto più dei toni epici di Wu Ming celebrati dai suoi recensori, essendo questi toni poco più che un maquillage retorico sulla sostanza auto distruttiva del meccanismo stesso.
Il reiterato scacco giuridico
Manca il reiterato scacco giuridico dell’opposizione No Tav. Wu Ming accenna ad alcune iniziative giudiziarie dei NO TAV contro l’opera (l’esposto di Cavargna per il presunto pericolo di una frana pronta a rovinare sul cantiere di Chiomonte, l’accusa a Virano di aver negato ai rappresentanti del movimento No Tav alcuni documenti), ma trascura il fatto che i No Tav hanno intentato più di trenta cause contro l’Osservatorio della Torino-Lyon e contro LTF, vincendone solo una. Anche qui entra in campo un meccanismo che si ripete uguale a se stesso:
- i legali dei No Tav o qualche esponente del movimento annuncia con grande enfasi di aver intentato una causa o presentato un esposto contro l’Osservatorio o contro LTF;
- la denuncia e l’esposto sono spesso presentati come l’arma legale definitiva contro la TAV, come la mossa che bloccherà per sempre l’opera;
- il procedimento si conclude, salvo in un caso, con la sconfitta delle ragioni No TAV;
- la sconfitta legale passa quasi del tutto sotto silenzio e viene sostanzialmente ignorata dai No Tav, che anzi continuano a ritenere fondati i motivi per cui hanno iniziato la causa o presentato l’esposto.
Perlomeno questo secondo riciclare è meno dannoso di quello precedente, limitandosi a triturare un po’ di carta bollata.
Gli esperti No Tav
Mancano stranamente, salvo rari accenni, gli esperti No Tav. Compare Luca Giunti, che tra questi esperti è la persona più trasparente e apprezzabile, compare Cavargna, autore di esposti dall’esito processualmente sfortunato, qualche volta è citato il professor Zucchetti, con la sua evidente e borghesissima pulsione a impersonare il ruolo dell’intellettuale organico e coscienza tecnica della piccola rivoluzione e con le sue meno innocenti minacce via Internet alle esponenti del movimento No Tav che non gli vanno a genio. E così rimangono poche tracce nel libro di Wu Ming delle ragioni del no alla TAV, ragioni peraltro ampiamente confutate.
L’alternativa
Manca l’alternativa alla Torino-Lyon. I No Tav e i loro esperti dicono che si può e si deve migliorare la linea storica, ma non hanno mai specificato in cosa consistessero tali lavori di miglioramento e quali ne sarebbero i costi e i benefici. E dal punto di vista tecnico sarebbe di estremo interesse individuare come ammodernare le linee ferroviarie che attraversano le Alpi senza lo scavo di un tunnel di base, visto che in tutti gli altri casi (asse del Gottardo, asse del Sempione, Brennero, Semmering, Koralm) i migliori progettisti ed esperti di infrastrutture europei hanno scelto la soluzione del tunnel di base come l’unica fattibile. Insomma questa ipotetica soluzione alternativa evocata dagli esperti No Tav sarebbe una straordinaria evoluzione nel campo delle infrastrutture ferroviarie, ma al momento si è dimostrata una chimera inesistente, per quanto ripetutamente invocata.
La SITAF
Manca la SITAF e non si può parlare di Val Susa senza parlare di SITAF, al momento l’azienda in valle che garantisce più posti di lavoro e che dal punto di vista economico ha molto da perdere dalla costruzione della TAV. E dalla SITAF si originano interessanti dinamiche che un libro così ampio come quello di Wu Ming non dovrebbe trascurare.
La libertà di espressione
Se non manca del tutto è perlomeno monca l’analisi della libertà di espressione nel contesto della vicenda Tav. Infatti non solo la parola contraria di Erri De Luca ha avuto impedimenti nella sua espressione, ma ci sono anche altre persone bersaglio di reiterate minacce e azioni intimidatorie per avere espresso una parola contraria alle opinioni di qualcun altro. Così il senatore Stefano Esposito si è impegnato politicamente a favore della Tav e ne ha sostenuto le ragioni in più occasioni e la sua parola contraria alle posizioni No Tav gli ha causato reiterate minacce, oltre che frattaglie di pollo e poi bottiglie molotov fatti trovare sul pianerottolo davanti all’ingresso di casa. E la parola non apprezzata dai No Tav del giornalista Massimo Numa gli ha fruttato l’invio in redazione di una bomba mascherata da hard disk e un lungo pedinamento sui luoghi di residenza, di svago e di lavoro dimostrato da un filmato anonimamente e minacciosamente distribuito sulla rete, per cui in Italia ci sono purtroppo molti giornalisti sotto scorta per aver scritto qualcosa sulla criminalità organizzata, più uno, Numa, sotto protezione per aver scritto qualcosa sui No Tav. Wu Ming ignora o racconta solo in parte queste vicende, cercando di sminuirne la credibilità e la gravità (vedi il racconto del pedinamento di Numa a pagina 501) e evitando di confrontare la condizione di chi come De Luca subisce la contestazione delle sue opinioni in un pubblico processo con il supporto degli avvocati difensori e con tutte le sacrosante garanzie previste dalle procedure con la condizione di chi come Esposito e Numa si trova oggetto di minacce che mirano anche alla loro stessa incolumità fisica e alla sicurezza delle loro famiglie, minacce poi provenienti da persone non identificate e con le quali non c’è modo di confrontarsi.
Chiudo qui il mio elenco delle dimenticanze del testo di Wu Ming, senza essere sicuro di non avere a mia volta dimenticato qualche ulteriore dimenticanza, e mi congedo citando un altro recensore del libro, cioè Daniele Giglioli, che scrive: “Un libro che unisce, connette, mette insieme, dà a chiunque lo legga, comunque la pensasse prima di leggerlo, la possibilità di passare dall’altra parte della barricata. Se poi qualcuno, davanti a un’opera tanto ben argomentata e documentata, decide di restare in buona fede della sua idea è nel suo diritto, ma sarebbe interessante sapere come fa”. Dimostrare la buona fede non è semplice, ma credo che si possano trovare in quanto qui scritto buoni motivi per mettere in discussione la solidità dell’argomentazione e la completezza della documentazione.
Picobeta