Disservizio pubblico RAI
Solo con ritardo ho potuto, grazie a Youtube, prendere visione della puntata di Scala Mercalli del 26 marzo scorso, ennesimo esempio di parzialità nell’informazione, con l’aggravante che per uno scopo ben preciso si è utilizzata la televisione pubblica. Mi stupisce che uno stimato professionista come il meteorologo Luca Mercalli si sia prestato a tale operazione, dal momento che la RAI si guarda anche fuori della Valle di Susa e che c’è differenza fra informazione, disinformazione e controinformazione. Certe trasmissioni televisive sono diventate show, con presenza di pubblico come allo stadio (ma solitamente più monocorde rispetto alle due curve). La chiave del successo dei talkshow è proprio la presenza in studio di più opinioni (almeno due), anche se poi gli invitati più ambiti sono quelli in grado di garantire, modello Colosseo, combattività e caos sufficiente per divertire gli spettatori. Ora questo modello è in declino, sia perché si vedono prevalentemente le stesse facce di politici e giornalisti, con ospiti più esperti ma più noiosi perché meno attori dei primi. Certo il contradditorio in televisione non è obbligatorio. C’è la pubblicità a pagamento e ci sono gli spot elettorali (ma anche i confronti), dove ognuno dice quello che gli pare ma lo spettatore ha modo di ascoltare tutti in pochi giorni e farsi un’idea più informata. Qui invece il conduttore, persona preparata, dopo una premessa molto chiara e condivisibile sulle troppe auto in circolazione (USA e Cina), sull’inquinamento, sull’effetto serra e sulla crescente tossicità, ha affidato in esclusiva nazionale tutti i ragionamenti e (presunte) dimostrazioni a dei no-tav di lungo corso, un ingegnere un ambientalista e un magistrato, che hanno ripetuto la trita e ritrita propaganda che circola da 20 anni, già smentita dai numeri ma soprattutto dai fatti che confermano in tutto il mondo un ritorno alla modalità ferroviaria, constatata insostenibile una risposta globale (alla richiesta di mobilità) basata sulla modalità stradale. Questo modello, sviluppato con successo da USA ed Europa nel XX secolo, è progressivamente entrato in crisi con l’esplosione demografica del pianeta. Dal 1950 ad oggi la popolazione è cresciuta da 2,5 a 7,5 mld!
Smettiamola anzitutto di assumere come “valore” di un progetto la “proposta” letterale che ne ha fatto il governo a suo tempo. La galleria di base del Moncenisio, così va chiamata, è opera di importanza assoluta, non scalfita dagli errori commessi da chi l’ha, per cominciare, chiamata con un nome sbagliato (TAV), quasi considerandola non opera europea ma estensione naturale della rete AV nazionale, e soprattutto ha esercitato sulle comunità interessate prepotenze degne di un dittatore africano. Idee e prodotti innovativi vanno proposti e spiegati. Può essere difficile e può richiedere tempo e impegno. Smettiamola di suggerire che il Verbo sia disceso solo in val Susa e che tutto il resto del mondo (Svizzera per esempio) siano degli idioti. Guardatevi i numeri dell’Eurotunnel e del Loetschberg, messi in difficoltà dal loro stesso successo (scontatissimo per le merci ma del tutto imprevisto per i viaggiatori), a pochissimi anni dalla loro realizzazione. L’ingegnere disegna curve sulla lavagna asserendo che sono state disattese le previsioni che “la linea esistente si sarebbe presto saturata”. Se qualcuno ha detto tale stupidaggine va corretto. La diminuzione di traffico è dimostrazione della non competitività dell’infrastruttura, i traffici ci sono ma passano sulla strada o su altri corridoi ferroviari migliori. Ha gli occhi bendati che pensa al Piemonte degli anni Sessanta, fornito di “comodi valichi” già serviti a Napoleone ed Annibale. In realtà allora era condizionante l’autonomia svizzera che, con il divieto di transito ai TIR e ancora in assenza dell’intermodalità, limitava il passaggio delle merci lungo tutto il tratto alpino che andava dal Brennero al Moncenisio-Monginevro. Nel frattempo la Svizzera si è svegliata (gentilmente esortata-minacciata dalla UE) ed altri hanno dormito. L’ambientalista sostiene che non importa l’energia che si risparmia col trasferimento modale a favore della ferrovia (non parla dell’energia inquinante consumata dall’autotrasporto), dal momento che per scavare la galleria si consuma energia il cui valore si recupera nel migliore dei casi in 23 anni. E allora? La galleria sarà utilizzata per almeno 230 anni, senza voler andare oltre. Il vantaggio di trasportare in pianura anziché varcare un valico a 1300 metri è un vantaggio definitivo. In futuro potranno cambiare le locomotive, le rotaie e la portata assiale, viaggeranno treni senza conducente, ma sicuramente non si riporteranno le linee ferroviarie in montagna. Trasporto aereo, levitazione magnetica, autotrasporto non saranno mai vantaggiosi come una ferrovia di pianura. Meno costoso è solo la navigazione interna, ma purtroppo non attraversa le Alpi. Più veloce resta il trasporto aereo, ma troppo caro per le merceologie di massa. Affermare che fra 25 anni la galleria del Moncenisio potrebbe essere “non più adeguata ai tempi” è semplicemente ridicolo e tendenzioso. Stupefacenti alcune posizioni espresse dal magistrato. La più illuminante: “ma una ferrovia c’è già”. Ma c’è una ragione se si usa sempre meno, i suo costo. La più provocatoria: “sospendiamo tutto in attesa che il tribunale del popolo della valle (!) si esprima” (cito a memoria). Metodo tutto italiano per immobilizzare ogni decisione in nome di una micro-democrazia che democrazia non è. Poi c’è la militarizzazione dell’opera. Si lascia intendere allo spettatore che le forze dell’ordine presidiano i lavori perché il governo deve difendere con le armi un’opera illegale, mentre chi lavora dalle nostre parti sa benissimo che è una costosa legittima difesa contro i teppisti. È inutile fare altri commenti. I dati disponibili e rassicuranti sotto il profilo tecnico, ambientale, di salvaguardia per le popolazioni, rappresentano una massa di informazioni enorme, esaustiva e disponibile. Come dice l’adagio, non c’è peggior sordo…
Ho fatto una sommaria ricerca per immaginare la situazione (e i dubbi) che erano nella testa di Cavour quando decise, oltre a sfruttare meglio i porti, di promuovere le gallerie del Fréjus e del Gottardo per collegare l’Italia al resto d’Europa, ciò che allora era una ragione vitale e sufficiente. Cavour non aveva esempi precedenti di opere di simile portata. Le gallerie ferroviarie realizzate intorno alla metà del secolo, peraltro capolavori di ingegneria, erano due e attraversavano l’Appennino: quella di Giovi e la Porrettana. La prima di 3.300 m. a quota 360, la seconda di 2.700 m. a quota 610. Pur nella loro importanza, non erano paragonabili al progetto del futuro Fréjus, con i suoi 13.636 m. di lunghezza a quota 1.335. La migliore locomotiva (a vapore) disponibile era un modello realizzato appositamente da Robert Stephenson (Inghilterra) e John Cockerill (Belgio) per salire alla galleria del Giovi, che aveva una pendenza massima del 36 per mille, simile a quella del Fréjus. Ebbene questa locomotiva, di 382 CV, tirava 130 T a 12 km/h (fonte Wikipedia). Considerando una portata netta del 50%, pari a 65 T, sostituiva il lavoro di 430 muli con basto da 150 kg. Un risultato portentoso (anche se sicuramente qualcuno gli avrà pur detto che era un’opera inutile essendoci le mulattiere storiche), ma che appare irrisorio rispetto alle 1.200 T tirate oggi da una coppia di moderne locomotive. Tuttavia anche queste prestazioni oggi non sono più competitive se confrontate alle prestazioni della nuova galleria del Gottardo, che saranno oltre il doppio dei valori indicati. È facile immaginare che nel 2120 il progresso tecnologico intervenuto renderà obsolete anche le migliori prestazioni attuali.
È invece molto più difficile comprendere la pervicacia con la quale una piccola minoranza di cittadini europei si ostini a negare il progresso che avanza, calpestando un progetto (europeo ed italiano) democraticamente votato dal parlamento. Mi chiedo quale sia lo scopo di queste trasmissioni televisive monocolore imposte a chi di pubblico ha solo il canone. Più che il contenuto vale spesso quel principio della comunicazione secondo la quale una notizia senza spettacolo è una minus-notizia. Economia e politica sono materie noiose che richiedono studio e fatica, dunque chi ha posizioni più dirompenti ha migliori possibilità di lasciare un ricordo (anche negativo) e giusta gloria ai Vespa, Santoro o Mercalli di turno. È oggettivamente difficile coniugare concetti quali interesse, spettacolo, audience.
Ho troppo rispetto per chi è intervenuto alla trasmissione per sospettare qualsiasi ignoranza in materia. Negli ultimi vent’anni di proteste, disinformazione, slogan, sono state fornite, da parte del governo, tecnici e operatori, tutte le possibili informazioni su questa opera (che non rappresenta peraltro nulla di nuovo, è solo una galleria), più che sufficienti a smentire le paure inoculate nella popolazione. Come esiste la libertà di pensiero esiste anche la libertà di non cambiare opinione, sfidando i cambiamenti in atto in Europa e in tutti gli altri continenti, che stanno profondamente cambiando il mondo dei trasporti e della logistica. Potrebbe trattarsi di un’ideologia radicalizzata, insensibile all’evolvere del tempo. Anche a distanza di una generazione, vediamo come il comunismo, scomparso in Russia, trasformatosi in Cina, permanga immutato ed immutabile in alcune teste di casa nostra. Forse si tratta di un’azione di reclutamento, brutta parola ai nostri giorni, ma indispensabile in ogni movimento, per ringiovanire e rafforzare una protesta della quale molti giovani, più che capirne le storiche ragioni, ne pagano le conseguenze in termini di decrescita sul territorio e carenza di prospettive.
Propendo invece per un’altra probabile spiegazione, secondo me ancora più preoccupante, quella crisi della Speranza, virtù alla quale Papa Francesco fa continuamente appello. La mancanza di speranza si traduce nella società civile ed economica nel peccato della presunzione. Non faccio prediche, ma è presuntuoso chi rifiuta l’idea di miglioramento e progresso oltre al beneficio egoistico ed immediato. È presuntuoso chi presume di fare i suoi personali calcoli del rapporto costi e benefici, su un periodo che abbraccia non decenni ma secoli, constatato i ripetuti fallimenti di previsioni economiche e sociali su tempi molto più brevi. A quante porte bussò Cristoforo Colombo prima di riuscire, fra mille difficoltà a finanziare la sua impresa? Mi chiedo di quali analisi costi-benefici disponessero i reali di Portogallo e di Spagna, o i finanziatori genovesi. La virulenza di certa opposizione economica alle grandi opere (quelle vere di interesse continentale) fa sorridere. Il costo complessivo delle grandi opere di infrastruttura in Europa le paga l’Europa (somma dei suoi cittadini), ed i benefici ricadono sulla collettività, nessuno escluso. Sono ingiustificate e fuorvianti le pretese (elettoralistiche ma non solo) di chi chiede di togliere i soldi a questo progetto per metterli nel trasporto pubblico di Torino o nella sanità piemontese, o in qualsiasi altra cosa da “consumare subito”. Se l’idea-Europa di certi politici è questa è normale poi che tanti non capiscano. Potrebbe essere un suggerimento alla RAI servizio pubblico quello di spiegare bene la differenza fra opere di interesse collettivo europeo e quelle di interesse (e spesa) locale. Terrò un occhio vigile sulla guida TV.
Livio Ambrogio – Presidente Ambrogio Trasporti S.p.A.