L’INTERVISTA DI “ALTRECONOMIA” AD ALBERTO POGGIO e le contro-risposte di Beppe Gillio
È apparsa nel sito di “Altreconomia” (TAV Torino-Lione: il bilancio dell’opera dopo 27 anni di progetti, 22 agosto 2017) un’intervista all’ing. Alberto Poggio, membro della “Commissione Tecnica a supporto dei Comuni dell’Unione Montana Valle Susa, Torino e Avigliana”, che ripropone tesi e argomentazioni ormai settimanalmente ripetute nel “TECNOTOUR NOTAV” in corso in Val di Susa.
Abbiamo deciso di riprendere e commentare l’intervista perché pienamente aderente al “racconto” TECNOTOUR offerto dal movimento NO TAV negli incontri e nelle iniziative di questi ultimi mesi. Il movimento è oggi palesemente in difficoltà dopo la decisione definitiva dei parlamenti di Italia e Francia, assunta all’inizio del 2017 a grandissima maggioranza, di finanziare e realizzare il Tunnel di Base del Moncenisio (57,5 km). Opera che peraltro ha già prodotto 20 km di scavo di gallerie preliminari ed è cospicuamente cofinanziata dall’Unione Europea.
I numeri ed i fatti dimostrano come il Tunnel di Base sia indispensabile per adeguare l’intero asse ferroviario Torino Lione agli standard delle ferrovie moderne: condizione fondamentale di una significativa e quanto mai necessaria ridistribuzione modale del traffico merci tra Italia e Francia.
L’Italia, con la Francia e l’Ovest dell’Europa, ha un interscambio economico in crescita che ha recuperato le dimensione pre-crisi (160 MLD € anno), una dimensione di merci trasportata di 42 ML ton/a, superiore a quella che interessa l’asse svizzero. Per contro la linea ferroviaria attuale – obsoleta, antieconomica ed impraticabile per i trasporti ferroviari moderni – è oramai abbandonata dagli operatori ferroviari europei ed ha perso in 10 anni oltre il 70% delle merci trasportate mentre oltre il 93% delle merci viaggia oggi in autostrada.
Ma questo è ancora troppo poco per gli “esperti NOTAV”, o meglio “SITIR”, che non si arrendono neppure davanti all’evidenza; se i fatti non sono utili alla causa si omettono o si travisano, se la storia non piace la si riscrive.
Per questo rispondiamo non solo all’ing. Poggio, interprete assiduo del TECNOTOURNOTAV, ma all’intera cabina di regia, la cosiddetta “Commissione Tecnica”, a cui lo stesso appartiene. Esperti troppo impegnati a negare fatti ed ad aggiustare la storia per preoccuparsi delle smentite che la realtà stessa ha costantemente offerto. Ad esempio riguardo alle montagne “piene di amianto e di uranio” di cui non esiste traccia, alla presunta dissipazione di acque, le cui misure sono drasticamente inferiori persino ai dati di progetto, alle “pericolose” dispersioni di polveri sottili, i cui valori sono lontanissimi dai limiti di attenzione previsti dalle norme italiane ed europee. Oppure a quanto profetizzato su presunti tempi biblici dello scavo della Maddalena, felicemente concluso nel febbraio 2017, o a quanto spergiurato sull’impossibilità che l’UE finanziasse al 40% l’opera e che il parlamento francese la approvasse o ancora alla tesi dell’impossibilità di un’adozione della normativa antimafia in Francia.
E l’elenco di smentite delle “profezie”, pervenute ed ignorate, potrebbe continuare ancora a lungo.
Per questa ragione, ritenendo utile una rilettura critica del racconto di Poggio (e del TECNOTOUR), abbiamo chiesto a Pier Giuseppe Gillio, autore di un’originale e documentatissima monografia sulla Torino Lione (Le ragioni di un ambientalista “Sì Tav”, Altralinea Edizioni, 2016), di rispondere alle stesse domande dell’intervista lasciandogli lo spazio per utilizzare argomenti, dati e fatti.
A chi legge risulterà senz’altro chiara la distanza abissale che esiste tra i due racconti.
La Redazione di Veritav
NUOVE RISPOSTE ALLE DOMANDE DI ALTRECONOMIA
di Pier Giuseppe Gillio
Che cosa comporta la recente decisione del CIPE ?
Diventato legge di Stato l’ultimo accordo italo-francese per la realizzazione della tratta transfrontaliera della Nuova Linea Torino-Lione, il CIPE ha approvato con deliberazione 7 agosto 2017 la realizzazione per lotti costruttivi e stanziato i fondi compensativi per il territorio interessato dal tracciato. L’atto, che costituisce impegno programmatico dello Stato Italiano per il completo finanziamento dell’opera, ha sbloccato i finanziamenti relativi alla quota italiana del primo e secondo lotto.
I lavori finanziati comprendono lo scavo di gran parte del tunnel di base in Italia e Francia, opere accessorie e all’aperto (in Italia svincolo di Chiomonte, galleria di ventilazione, rilocalizzazione autoporto e pista guida sicura, realizzazione infopoint, adeguamento linea storica tra Bussoleno ed Avigliana). Nel frattempo TELT ha pubblicato la “variante di cantierizzazione”, così denominata perché prevede modifiche esclusivamente legate alla logistica dei cantieri, mantenendo invariati tracciato e opere.
L’ing. Poggio formula considerazioni sull’inopportunità di lotti costruttivi che a suo dire dovrebbero essere funzionali. Nei fatti esistono gli uni e gli altri. Con il fasaggio dell’opera si sono infatti definite fasi funzionali che consentono di anticipare le opere che permettono di accedere alla parte più significativa dei benefici attesi e di rinviare quelle che non risultano indispensabili prima dell’attivazione del tunnel. Con vantaggio socioeconomico riconosciuto anche da personalità non favorevoli al progetto (Ponti, Boitani, Debernardi, Grimaldi). Circa l’opportunità dei lotti si ricorda che conformemente all’articolo 2, commi 232-233, della legge 191/2009 afferiscono a opere con tempi di realizzazione molto lunghi, per le quali lo stanziamento in anticipo dell’intero importo risulterebbe antieconomico e vincolerebbe inutilmente per molti anni risorse ingenti a scapito di altri progetti realizzabili nello stesso periodo.
Aggiunge Poggio: “Se, come sembra dagli ultimi orientamenti politici, le tratte nazionali non saranno realizzate, il tunnel sarà collegato alle ferrovie già esistenti. Pertanto sarebbe un’opera sostanzialmente inutile perché non si avrebbe incremento della capacità di trasporto lungo il percorso ferroviario Torino Lione, che rimarrebbe pari a quelle delle linee attuali.” A parte il fatto che le tratte nazionali non sembrano affatto messe in discussione, suscitano stupore idee tanto confuse sulle criticità della linea storica. Perché il problema non è certamente quello della “capacità” della linea, intesa come potenziale del volume di transito, ma della “capacità” di traino dei singoli treni, decisiva del vantaggio o svantaggio economico del trasporto su ferro verso la strada.
Tra le specifiche tecniche d’interoperabilità della rete centrale europea, di cui la NLTL è elemento nodale, hanno infatti peso primario pendenze e raggi di curvatura, funzionali a standard di prestazione elevati (treni lunghi fino a 700 m e/o pesanti fino a 2000 tonn) e a esse si stanno adeguando anche in Italia le principali linee di pianura. E così pure i tunnel ferroviari di base svizzeri e austriaci e più in generale ogni altra linea della rete centrale. Se senza i nuovi standard neppure il traffico merci ferroviario di pianura risulta competitivo, come potrebbe mai esserlo quello sulla tratta di valico del Frejus dove le STI non possono trovare applicazione neppure con le onerosissime trazioni doppie e triple oggi usuali?
Per quanto riguarda le tratte nazionali italiane e francesi è vero che richiedono importanti interventi di potenziamento, tuttavia sin da oggi non offrono ostacoli insormontabili all’adeguamento alle STI; anche relativamente al transito di profili P/C 80. E questo spiega perché non costituiscano la prima urgenza.
Oltre al tunnel esplorativo che cosa abbiamo della tratta dopo 27 anni di progetti ed oltre 1 mld speso ?
Non mi sembra corretto parlare di “27 anni di progetti”. A meno che si vogliano considerare tali le proposte e gli studi relativi a un nuovo tunnel, ma in tal caso, facendo data dal contributo di Domenico Regis (cui altri ne seguirono), si tratterebbe non di 27 ma di 107 anni.
Per contro, dopo la prima attività largamente ricognitiva di Geie Alpetunnel, soltanto a seguito dell’Accordo italo-francese del 2001 si sono svolti studi di fattibilità, scavi geognostici, valutazioni di impatto ambientale e azioni progettuali. In questa complessa fase, affidata al promotore pubblico LTF, il progetto ha subito rilevanti trasformazioni sul lato italiano a seguito delle richieste del territorio e delle indicazioni formulate dall’Osservatorio. Con conseguente spostamento del tracciato di valle dalla riva sinistra alla destra e successiva definizione di un nuovo assetto di intervento per la tratta nazionale italiana di adduzione (fase 1) che riutilizza, con adeguamenti, oltre 50 km della linea ferroviaria storica.
Contemporaneamente alle fasi di progettazione sono stati scavati quasi 20 km di gallerie. Ultimata la prima funzione geognostica, le discenderie costituiranno parte integrante del tunnel di base in quanto essenziali alla sua ventilazione, a interventi di manutenzione, a uscite di sicurezza.
È pertanto del tutto fuori luogo l’affermazione dell’ing. Poggio che a oggi non si sarebbe scavato “neppure un metro”. Tanto più che oltre alle discenderie risultano scavati, al 4 settembre 2017, 1.528 m (1393 m con TBM) tra Saint Martin la Porte e La Praz (sui circa 9 km di tratta appaltati), sull’asse e nel diametro della canna sud del tunnel di base. La qual cosa significa che gli scavi ultimati costituiscono quasi il 12% del totale; ovvero il 17% includendo i lavori già appaltati e attualmente in corso.
Si ricorderà infine che a incidere sui tempi della programmazione non è stata soltanto la complessità delle fasi preliminari, ma la tempistica dei finanziamenti europei, cadenzata in quadri finanziari settennali. Per il 2007-2013 il finanziamento concerneva le fasi preliminari: ricognitiva e progettuale. Ed è peraltro in ragione di tale vincolo che è stato necessario ricorrere al titolo di tunnel geognostico per lo scavo di Saint Martin la Porte, di fatto primo segmento del tunnel di base. Soltanto nel quadro corrente (2014-2020, ma approvato con due anni di ritardo) il finanziamento è stato vincolato alla realizzazione dell’opera.
Circa la copertura finanziaria complessiva di parte italiana Poggio sostiene essere inadeguata. Nei fatti appare del tutto congrua, coprendo la realizzazione delle opere previste per i prossimi 5 anni e contemplando l’impegno programmatico dello Stato al prosieguo delle erogazioni (come peraltro avviene per Terzo Valico e Brennero). Del resto era già la legge di stabilità per il 2013 (L 228/2012 comma 228) a contemplare una spesa di circa 2,9 mld, spalmata fino al 2029
Come sono ripartite le spese ?
La previsione di ripartizione della spesa per la realizzazione della tratta transfrontaliera è di 3.328,3 mln a carico dell’UE; 2.884,9 mln per l’Italia; 2.087,5 mln. per la Francia (cui si aggiungono circa 300 mln diversamente ripartiti per espropri e interferenze). Al netto del cofinanziamento UE del 40% è a carico dell’Italia il 57,9% della spesa e della Francia il 42,1%.
Ha commentato Poggio: “nei primi accordi nel 2004 la Francia si lasciò convincere solo a fronte della promessa italiana di sostenere la quota maggiore delle spese”. Affermazione poco sostenibile perché a partire dal 1990 fu soprattutto la Francia a sostenere la necessità dell’opera. Inoltre, nell’ipotesi di una ripartizione paritaria, i due Stati avrebbero contribuito con 2.486 mln ognuno, per cui è difficile credere che uno “sconto” di 400 mln sia stato l’elemento determinante dell’impegno francese. Soprattutto considerando, come lo stesso Poggio ricorda, che in prima ipotesi la Francia doveva farsi carico di una spesa di 11 mld per la realizzazione della propria tratta nazionale contro i 4,4 mld dell’Italia. E fu proprio tale divario a motivare una parziale perequazione con quote diversificate.
Con la spending review in corso, l’Italia ha dimezzato i costi della propria tratta nazionale sospendendo i progetti della galleria dell’Orsiera, della galleria tra Chiusa ed Avigliana e della gronda di Torino che verranno realizzati in un orizzonte temporale lontano e soltanto nel caso in cui se ne ravvisasse l’effettiva necessità. Il costo delle opere oggi a progetto, utili all’attraversamento del nodo di Torino (tratta tra S. Ambrogio e Orbassano con tunnel di Sant’Antonio, galleria artificiale di Rivalta, “duna” di Orbassano, interventi sul nodo e integrazione con linea SFM5), ammonta secondo il Contratto di programma MIT/RFI, approvato dal CIPE il 7 agosto 2017, a 1,7 mld.
Si conosceranno probabilmente nel 2018 le determinazioni della Francia relativamente a una riduzione similare della spesa, ma il forte divario tra gli impegni di spesa dell’uno e dell’altro paese è destinato a permanere. Se non altro per la grande differenza di lunghezza dei tracciati.
Al di là di queste considerazioni resta da aggiungere che potrebbe essere l’Italia a trarre il maggiore profitto dall’opera dal momento che nel 2015 l’export italiano verso la Francia valeva 42,5 mld contro un import di 32 ( http://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=68 ).
L’Europa come partecipa ?
Dopo la revisione della rete Ten-T e l’istituzione della rete centrale, l’UE ha inteso privilegiare la rimozione dei riconosciuti “colli di bottiglia” del sistema. A tal fine, anche per l’esortazione della Corte di conti europea a evitare un’eccessiva frammentazione dei contributi e a concentrare le risorse su progetti transfrontalieri, il finanziamento massimo, già del 10% e poi del 30%, è stato accresciuto al 40%.
Applicando criteri oggettivi precedentemente definiti, l’agenzia INEA ha proposto nell’ambito del progetto CEF l’assegnazione alla NLTL di un finanziamento che per entità risulta terzo in una lista di 270 progetti infrastrutturali (selezionati su circa 700) producendo la motivazione di un “forte valore aggiunto europeo”. Nel 2016 la proposta è stata approvata dai rappresentanti dei 29 paesi dell’Unione.
Scrive Poggio che “la partecipazione definitiva alle spese da parte dell’Europa non è ancora stata deliberata. Sarà oggetto di discussione dopo il 2020 e potrà arrivare al massimo a coprire il 40% sul costo del solo Tunnel di Base”. E non può che essere così perché l’UE non ha la possibilità di deliberare spese per periodi eccedenti il settennio finanziario. Congetturare per i successivi una marcia indietro significherebbe ipotizzare la rinuncia alla realizzazione della rete centrale e all’obiettivo del trasferimento modale al 50%; cosa che sarebbe alquanto incongrua dopo i poderosi stanziamenti, senza precedenti nella storia comunitaria, del settennio corrente. Infine, nonostante effettivi ritardi, non pare esaustiva la spiegazione “la Commissione europea ha revocato oltre 270 milioni di euro di contributi alla Torino-Lione a causa del notevole ritardo dovuto a difficoltà amministrative e tecniche” (benché si tratti della motivazione ufficiale), perché il precedente finanziamento UE includeva le prime fasi di realizzazione del tunnel dell’Orsiera, differite sine die.
La Francia ha cambiato idea sulla tratta ?
È veramente singolare la risonanza ottenuta nello scorso mese di luglio da un articolo della stampa francese riportante dichiarazioni della ministra ai trasporti Borne su un periodo di “pausa” sulla Torino-Lione. Già, perché la pausa è iniziata da qualche anno e più precisamente dopo l’opzione dei due paesi per un ulteriore fasaggio del progetto. Essendo in Francia cresciuto enormemente il programma di spesa per nuove infrastrutture, il Governo incaricava la commissione Mobilité 21 di formulare proposte di priorità temporale delle realizzazioni. Nel rapporto del 27 giugno 2013 la commissione dava per scontata la realizzazione della tratta transnazionale della NLTL e confermava “l’interesse per la realizzazione degli accessi previsti”. Tuttavia, “considerata l’incertezza dei tempi di realizzazione del tunnel di base, non ha potuto valutare se i rischi di saturazione e dei conflitti d’uso che giustificano il progetto potranno aver luogo prima degli anni 2035-2040”. Di conseguenza raccomandava “un monitoraggio delle condizioni specifiche dello sviluppo del progetto complessivo, con una frequenza minima di 5 anni, nonché di verificare con regolarità l’orizzonte probabile della realizzazione degli accessi francesi”. A oggi non sono seguite determinazioni governative e soltanto il mese scorso il presidente Macron ha assunto impegno per l’emanazione di “una legge quadro sulla mobilità che sarà presentata al Parlamento per essere esaminata nel primo semestre 2018. E sarà il Parlamento a decidere sui diversi progetti” (“Il Fatto Quotidiano” 20/07/2017).
Relativamente all’orientamento francese si ricorderà che l’ultimo trattato è stato ratificato nel 2013 con il voto favorevole del 96% dei senatori. Nello stesso anno, il 23 agosto, è stata pubblicata la Dichiarazione di pubblica utilità degli accessi francesi da Lione a St. Jean de Maurienne. Il trattato perfezionato dal protocollo aggiuntivo è ora legge n. 116 del 1° febbraio 2017.
Con tutto ciò risulta piuttosto gratuita e incauta la tesi di una Francia che avrebbe “cambiato idea”.
Qual è la situazione dei flussi ferroviari ?
Sostenitori istituzionali del passato e oppositori del presente hanno commesso un colossale errore di valutazione, che ha medesime radici, confidando i primi in una saturazione della linea storica e ritenendo i secondi che l’attuale capacità della linea escludesse la necessità di una nuova. Quando nei fatti la linea si avviava a un’inesorabile agonia. Dice Poggio: “Perché spendere miliardi quando esiste una linea idonea?”. Ma se, come lui stesso riconosce, “il transito di merci sulla ferrovia della Valle è pari a 3-4 milioni tonnellate di merci all’anno” [per l’esattezza 2,9 mln nel 2016] vorrà dire che qualcosa non funziona. E certamente non per scarsità di traffico perché nel 2016 sono transitate ai confini italo-francesi, tra strada e rotaia, 42,44 mln/tonn di merce; ovvero più di quanta ne sia transitata in Svizzera (40,43 mln/tonn) (https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/2017-observatoire-trafic-transalpin-chiffres-cles-2016.pdf ).
Il grave squilibrio modale, che nel 2016 ha comportato sull’arco alpino occidentale il transito di quasi 2,8 mln di TIR (con buona dispensa di emissioni climalteranti, ossidi di azoto, polveri sottili, alti consumi energetici, incidentalità, congestione, inquinamento acustico), consegue a una realtà molto semplice: per la parte fortemente maggioritaria delle tipologie di merce il costo del trasporto ferroviario è molto più elevato su rotaia che su strada.
Programmi e normativa UE, letteratura trasportistica, voci dei grandi operatori del combinato sono assolutamente concordi nel riconoscere nell’aumento di capacità di carico l’unica possibilità di rendere economicamente competitivo il trasporto su ferro. Mentre la linea storica del Frejus offre ostacoli insormontabili al miglioramento di prestazioni. Basti dire che a causa di una acclività severa la capacità di traino a trazione semplice passa dalle 1.700 tonn della linea di adduzione Culoz-Chambéry alle 570 di Modane.
Vero è che la Svizzera è recentemente pervenuta a un 71% di merci su rotaia senza ancora i nuovi tunnel di base in esercizio a pieno regime, ma per merito di incentivi annui al combinato più o meno equivalenti a quanto pagherà annualmente l’Italia fino al 2030 per la realizzazione del tunnel di base. Ricorrendo inoltre a poderosi servizi di spinta, nonostante linee storiche più vantaggiose del Frejus per massa trainabile. Dunque una spesa rilevantissima che la Conferedazione ha potuto sostenere grazie ai proventi di una tassa sul traffico pesante che la normativa UE sulla concorrenza non consente in Italia e in Francia.
Quanto ricordato vale anche a spiegare perché in Svizzera siano in corso di ultimazione 129 km di tunnel di base sui due assi del Gottardo e del Lötschberg, nonostante un traffico merci complessivo inferiore a quello dell’arco alpino occidentale.
Alle criticità della linea storica si aggiungono limitazioni d’esercizio per ragioni di sicurezza, ingiunte dal traffico promiscuo merci e passeggeri. Già il rapporto COWI del 2006 riconosceva la pericolosità della linea, ma oggi il suo stato è abissalmente lontano da quello contemplato dalle normative di sicurezza, soprattutto per assenza di uscite di sicurezza e mancanza di ventilazione. E interventi risolutivi, sul tunnel di Modane e gli altri di adduzione, comporterebbero spese enormi e una lunga interruzione del traffico.
Tra le criticità denunciate ci sono anche le alte temperature interne alle montagne ?
Nel punto di maggior copertura del tracciato della NLTL, sotto il massiccio dell’Ambin, è stata rilevata dal sondaggio geognostico di Chiomonte una temperatura di poco superiore ai 45°C per un tratto di qualche centinaio di metri. Il fenomeno delle alte temperature di profondità è ben noto e recentemente è stato riscontrato in misura analoga a quella di Chiomonte nello scavo del Gottardo.
A detta di Poggio ne conseguirebbe la necessità di “raffreddare perennemente la galleria” con notevoli consumi energetici, ma così non è perché in fase di esercizio il passaggio monodirezionale del treno è sufficiente a permettere un adeguato ricircolo dell’aria e quindi l’abbassamento di temperatura. Esattamente come avviene al Gottardo e al Lötschberg e come è previsto per il tunnel del Brennero, ove gli impianti di ventilazione-refrigerazione sono predisposti per essere utilizzati esclusivamente in condizioni eccezionali. Infatti l’impianto di ventilazione è finalizzato all’estrazione massiva dei fumi presenti in galleria in caso di incidente o incendio e quello di refrigerazione al mantenimento delle condizioni igieniche dell’ambiente di lavoro nel corso di impegnativi interventi di manutenzione.
Nel mese di luglio TELT ha chiesto una variante dei lavori. Modifiche di che tipo ?
Non è TELT ad aver chiesto una variante dei cantiere, ma il CIPE ad averla prescritta recependo le indicazioni del Ministero dell’Interno. La scelta di spostare la localizzazione è frutto della stagione 2011-2014, afflitta da tentativi di sabotaggio al cantiere di Chiomonte e da ripetuti attacchi da parte delle frange antagoniste. Con l’esito di una progressiva fortificazione dell’area e l’istituzione di un sito di interesse strategico nazionale che consente normativamente il presidio di Forze dell’Ordine e Forze Armate. Secondo le autorità di P.S. il cantiere del tunnel di base nella Piana di Susa, già approvato dal CIPE nel 2015, risultava difficilmente gestibile, di conseguenza la variante è motivata da ragioni di sicurezza nonché di risparmio degli elevati costi di protezione di un secondo cantiere.
La nuova allocazione comporta, a parità di costi e di tracciato, il potenziamento del cantiere esistente e la realizzazione di rampe d’accesso all’autostrada (svincolo). I materiali di scavo saranno trasportati a Salbertrand ove in parte consistente saranno utilizzati per la produzione dei conci o dei rilevati ferroviari e in parte trasferiti su rotaia nelle aree di deposito permanente già previste nel progetto 2015.
Il programma di cantierizzazione di TELT prevede un nuovo tunnel che consentirà di raggiungere perpendicolarmente l’asse del tunnel di base e di introdurvi una TMB di diametro maggiore di quella precedentemente utilizzata. Tale soluzione consentirà di risparmiare la già prevista realizzazione del pozzo di ventilazione della Val Clarea e potrà tornare utile allo stoccaggio in sotterraneo dei materiali potenzialmente amiantiferi prodotti nei 300 m di scavo in cui ne è prevista presenza.
Sostiene Poggio che a effetto dello spostamento “ogni giorno centinaia di camion scenderebbero a Susa per poi invertire la marcia e risalire a Salbertrand, per il trasbordo sul treno”. L’inversione di marcia avverrà più precisamente allo svincolo di Susa ovest e pertanto non ci sarà attraversamento di centri abitati. Tuttavia l’osservazione è fondata, facendo riferimento a un elemento critico del progetto su cui si sta peraltro ancora discutendo in sede di Conferenza dei Servizi, con ricerca di soluzioni migliorative.
A quanto ammonterebbero le penali se si volessero sospendere i lavori ?
Dice Poggio che “nell’insieme degli accordi tra Italia e Francia stipulati dal 2001 a oggi non sono indicate penali”. Non sono esperto di diritto internazionale, ma mi pare scontato che in caso di recesso unilaterale la controparte avrebbe pieno diritto di richiedere il risarcimento dell’intera spesa sostenuta. Per quanto riguarda il finanziamento europeo il regolamento 1316/2013 stabilisce all’art. 12 che possa essere richiesto dalla Commissione “il rimborso totale o parziale dell’assistenza finanziaria concessa se, entro due anni dalla data di completamento stabilita nelle condizioni di assegnazione dell’assistenza finanziaria, la realizzazione dell’azione che ne beneficia non è stata terminata”. E a questi costi si sommerebbe la dissipazione della spesa sino a oggi sostenuta da parte italiana.
Nel caso del tutto ipotetico di una sospensione dei lavori occorrerebbe dunque includere nei costi i rimborsi a Francia e UE delle somme spese; la perdita dei futuri finanziamenti UE; i lavori di messa in sicurezza degli oltre 20 km di gallerie già realizzate. Dovendosi poi ripiegare sulla vecchia tratta di valico occorrerebbe spendere somme elevatissime per garantire standard di sicurezza europei. Rinunciando in ogni caso all’obiettivo del riparto modale che a questo punto sarebbe perseguibile soltanto con incentivi poderosi come quelli corrisposti in Svizzera e tuttavia non consentiti dalla normativa europea sulla concorrenza.
In altre parole, le cose rimarrebbero come sono. Con pregiudizio grave e irreparabile per la funzionalità della rete centrale e per i benefici ambientali da essa attesi. Inoltre, sotto il profilo economico, ci sarebbero altri costi diretti e indiretti derivanti dalla mancata realizzazione dell’opera, come quelli descritti dal rapporto Cost of non-completation of the TEN-T (2015) realizzato per la Commissione Europea da uno dei maggiori istituti di ricerca europeo, il Fraunhofer-Institut für System und Innovationsforschung.
In altre parole rinunciando all’opera si spenderebbe molto di più, in termini economici e in termini sociali.
Foto @ Alessandro Di Marco