Giornalisti “Notav/SìTir” del “Fatto Quotidiano”: più fatica a leggere che a scrivere?

Sul numero del 25 febbraio del “Fatto Quotidiano” sono apparsi ben tre articoli sulla Nuova Linea Torino-Lione. Una sorta di risposta al “Modello d’esercizio 2017” recentemente pubblicato nel sito dell’Osservatorio. O, perlomeno, di risposta a un’unica frase del documento in cui si diceva che in dieci anni il mondo è cambiato e che le previsioni di crescita degli scambi (che si fondavano a loro volta sulle previsioni di crescita economica di OCSE, FMI, BEI e altri) sono state smentite dalla recessione.

Si tratterebbe pertanto di una non-notizia, se il documento non avesse semplicemente voluto richiamare l’attenzione su quelle che sono oggi le diverse motivazioni del progetto della nuova linea Torino-Lione. Perché nuovi elementi di valutazione si sono aggiunti e hanno dimostrato che il grande errore del passato è stato quello di credere che all’aumento del traffico merci su strada potesse corrispondere quello sulla linea ferroviaria. Mentre negli ultimi anni il primo è costantemente aumentato, il secondo ulteriormente diminuito. Le ragioni sono indagate e descritte dai tecnici autori del documento dell’Osservatorio, ma gli articolisti, paghi dell’estrapolazione di un’unica frase, si sono evidentemente risparmiati la fatica di leggere l’intero testo.

Francesco Ramella firma l’articolo intitolato “Il governo ammette: sul TAV ci siamo sbagliati, ma si farà”. Che è modo piuttosto singolare di richiamare un documento in cui si espongono, senza il “ma”, le ragioni per cui l’opera è  considerata irrinunciabile. Stupisce anche la replica a chi sostiene che una ferrovia potenziata possa contrastare il deleterio primato dell’autotrasporto: “La qualità dell’aria, a Torino, in Valsusa come in tutta Europa è in miglioramento da decenni. Tale tendenza proseguirà in futuro”.

Ottimismo già espresso nel 2007 da Ramella in un articolo cofirmato da Marco Ponti cui ha fatto seguito la chiusura temporanea del Bianco per superamento dei limiti di polveri sottili, lo stato d’allerta in Savoia… per arrivare agli inquietanti bollettini che quest’inverno hanno interessato la pianura padana. Ma emissioni di anidride carbonica, di ossidi d’azoto, di polveri sottili, incidentalità, congestione, alti consumi energetici, inquinamento acustico non sono considerati problemi di rilevanza. E se il traffico stradale aumentasse ancora? Nessun problema, dice Ramella, perché “per molti decenni non si registrerà alcun vincolo di capacità sulla rete stradale, unico fattore che potrebbe giustificare l’opera”.

Per cui i 2,8 milioni di TIR che hanno attraversato nel 2016 i confini italo-francesi congestionando le autostrade di Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta potrebbero anche raddoppiare. A fare una certa impressione è la perentorietà di valutazioni che cozzano non soltanto con le finalità della Convenzione delle Alpi, sottoscritta da tutti i Paesi dell’arco alpino, ma con l’impegno assunto nel 2011 dalla Commissione Europea (e recepito dai regolamenti UE 1315 e 1316/2013) di un trasferimento dalla strada alla rotaia del 30% delle merci di lunga percorrenza all’altezza del 2030 e di un 50% più avanti. Traguardo peraltro già superato dalle regioni alpine più virtuose perché mentre tra Francia e Italia soltanto il 7% delle merci viaggia su ferro in Svizzera si è pervenuti al 70% e si punta a superare l’80 nel 2024; e il Brennero è al 30% con obiettivo 50 nel 2027.

Sorprendente anche il sottotitolo “i numeri non giustificano l’opera”. Perché i calcoli li hanno fatti pure gli Svizzeri che per rendere sostenibile un traffico merci ammontante nel 2016 a 40,4 mln/tonn hanno realizzato 129 km di nuovi tunnel ferroviari sui due assi del Gottardo e del Lötschberg. Mentre tra Francia e Italia sono transitate nello stesso anno 42,4 mln/tonn… e non esiste una linea moderna neppure su un asse. Insiste Ramella: “Come dimostra l’esperienza svizzera, neppure con il tunnel di base la ferrovia potrebbe diventare competitiva con la strada e dovrà continuare a essere pesantemente sussidiata”. Affermazione non veritiera perché dopo l’apertura del nuovo tunnel del Gottardo i poderosi sussidi sono già stati ridotti e nel 2024 saranno del tutto eliminati perché – ha dichiarato il governo confederale – le nuove infrastrutture li renderanno superflui.

In un secondo articolo, Giorgio Meletti se la prende con Gentiloni, reo di  “continuare a buttare miliardi su un’opera inutile come la Torino-Lione”. Forse dimenticando che dopo la ratifica parlamentare il trattato italo-francese che impegna alla realizzazione del progetto è legge dello Stato e che un Presidente del Consiglio non ha la facoltà di abrogare leggi a suo piacimento. Suppongo poi che neanche Meletti si sia presa la briga di leggere il documento dell’Osservatorio, altrimenti qualche alito di replica su aspetti di merito si dovrebbe pur cogliere. Circa l’asserita “inutilità” dell’opera sarebbe interessante capire come l’articolista spieghi la motivazione di un cofinanziamento europeo che per entità è terzo in una lista di 270 progetti infrastrutturali (selezionati su oltre 700).

Forse per ignorare che ai fini del riequilibrio modale è stata istituita nel 2013 la rete centrale ferroviaria europea, articolata in nove corridoi interoperabili e interconnessi, di cui la NLTL costituisce elemento nodale. Senza il quale ne scapiterebbe la funzionalità della rete tutta (per la cui implementazione sono stati deliberati stanziamenti senza precedenti nella storia comunitaria). E’ solo parzialmente corretto il successivo rilievo: “nel 2004 nel vecchio traforo sono passate merci per 7 milioni di tonnellate, l’anno scorso ne sono passate meno di 4 quando la capacità è di almeno 15 milioni”; la stima di capacità non tiene conto delle stringenti ed insormontabili limitazioni di sicurezza nel tunnel del Frejus che hanno trasformato la linea ad un solo binario, riducendo a meno della metà la capacità teorica dei treni merci transitabili. Anche fatta questa precisazione resta il fatto che il primo problema della linea non ha a che fare con la capacità; basta un minimo d’informazione per capire che la causa dell’abbandono è l’elevato costo che deriva agli operatori per l’uso di una vecchia infrastruttura che per la forte acclività non consente neppure con le onerosissime trazioni doppie e triple di pervenire a capacità di traino conformi agli standard di prestazione europei. Gli unici che possono rendere economicamente competitiva la ferrovia verso la strada.

Il terzo articolo è un appello “alla politica e al governo” con firme anche autorevoli di “scrittori, giornalisti, studiosi” che vorrebbero stoppare un’opera “superata e dannosa”. Il che, ancora una volta, senza entrare nel merito delle proposizioni dell’Osservatorio, liquidate come “nuove opinabili ragioni”. Come si possa definire “superato” un progetto che costituisce la risposta a una emergenza ambientale sempre più grave e che risponde a un programma europeo varato nel 2013… resta cosa impenetrabile.

Non mi soffermo su altri concetti, questi sì ripetuti da anni senza varianti e superati. Trovo invece civile e stimolante la conclusione: “Aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe né battute d’arresto né ritardi. Sarebbe un atto di responsabilità”.  Da parte mia suggerisco caldamente all’Osservatorio di non ignorare la richiesta perché il solo fatto che sia stata formulata e sottoscritta da alcune personalità non sospette di ambiguità evidenzia che non basta un documento a diradare nebbie. Si apra dunque questo pubblico confronto tante volte sollecitato dagli oppositori e poi immancabilmente disertato. Si chiariscano finalmente, in forma pubblica, oscurità e dubbi con numeri, dati, confronti e che nessuno si tiri più indietro. Non è più tempo.

 

Pier Giuseppe Gillio

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